La serenità in abbonamento

Qualche mattina fa, ho ricevuto una mail da Google. Non è che Google mi tenga in particolare considerazione, ho ricevuto la stessa mail spedita a tutti gli utenti Gmail.
Google mi comunica che, a partire da giugno 2021, i miei contenuti saranno cancellati se occuperò più dello spazio di archiviazione gratuito che mi ha messo a disposizione. In prima battuta, la cosa mi preoccupa un po’. E se finissi per sbaglio nel calderone degli eliminati anche se non ho passato i limiti? però finora Google non mi ha riservato cattive sorprese, quindi mi tranquillizzo e penso che basterà tenere d’occhio la situazione e che, nel peggiore dei casi, mi manderà degli avvisi per darmi una svegliata. Insomma, è un’altra cosa a cui dovrò stare attento.
I servizi gratuiti richiedono questo, il tuo tempo e la tua attenzione.
Nella stessa mail, Google mi avvisa che la limitazione non vale per gli utenti a pagamento, quelli che hanno acquistato uno spazio di archiviazione supplementare; in breve, quelli con i giga blu nelle vene. Quelli, finché pagano, non avranno nulla da temere.
I servizi a pagamento servono a comprare la serenità.
Anche se probabilmente non lo farò, mi viene in mente che potrei spendere qualche euro al mese per avere dello spazio di archiviazione in abbonamento e smettere di trafficare con hard disk esterni, chiavette e micro sd che spariscono nel vuoto cosmico dei calzini spaiati o si impuntano e a provare a farle funzionare si perde l’acqua e il sapone. Potrei avere anche dispositivi più leggeri, magari temporanei, usare attrezzature che non sono di mia proprietà, dato che non sono più lo scrigno delle mie cose, che sono altrove.
Chi come me è nato a cavallo tra questo millennio e quello scorso, ha visto crescere l’offerta di servizi in abbonamento. Ci sono molti risvolti positivi: la bici puoi noleggiarla, la prendi e la lasci più o meno dove ti pare e non devi preoccuparti che te la rubino o di avere uno spazio per parcheggiarla, i libri puoi leggerli in digitale, senza neanche acquistarli, abbonandoti ai servizi di Amazon o prendendoli in prestito dalle biblioteche di tutto il mondo, e, con buona pace di Ikea, stanno sparendo le librerie dall’idea di arredamento delle nostre case moderne. Chi trasloca spesso avrà imparato ad amare il concetto di casa leggera e chi noleggia un’auto, al posto di acquistarla, saprà bene da quante rogne e burocrazia sia riuscito a defilarsi.
Ci sono senza dubbio implicazioni funeste in tutto questo, come in ogni cambiamento, ma non farò un discorso troppo profondo al riguardo; lascio la patata bollente ad osservatori più competenti e attenti, perché non ne ho gli strumenti e non ci ho ragionato abbastanza.
Dal canto mio, guardandomi intorno e sulla mia pelle, osservo quanto la proposta di servizi in abbonamento stia impattando sui nostri stili di vita e da proprietari di cose ci stia rendendo utenti, più leggeri ma più vincolati ad ogni capriccio di chi le fornisce.
Alcuni di questi cambiamenti li ho apprezzati particolarmente, come la diffusione delle offerte ricaricabili con abbonamento fisso per il cellulare. Amo avere le cose sotto controllo. Sapere di spendere 10€ fissi al mese è per me più rassicurante di dover tenere sempre d’occhio il tempo delle mie chiamate, che poi non faccio a nessuno, o il numero di sms che mando, per lo più a me stesso, per non dimenticare qualcosa. A conti fatti, sembra che io sia la cavia ideale per il laboratorio della nuova economia dei servizi.
Abbonandomi ho comprato una serenità che ha devitalizzato la mia propensione al risparmio.
Se accadesse di tornare indietro, dovrei rieducarmi. Nel caso specifico, la mia vita sociale rarefatta mi spianerebbe la strada, ma in altri ambiti potrebbe esser dura. Facilitandomi il compito, sento d’aver perso qualcosa; di aver sedato una mia capacità.
Ciò che mi disturba è che la nuova umanità del XXI secolo si autopropone la serenità e la semplificazione che può portare una vita farcita di servizi in abbonamento, si libera di molti fronzoli e si prepara a viaggiare a corpo libero per un mondo in cui tutto quello che serve portarsi dietro sta in uno zaino, o è ancorato alla rete dati dello smartphone, e allo stesso tempo si autoimpone, o lo fa per una parte sgangherata di se stessa, guadagni flessibili, discontinui, trattamenti pensionistici insicuri e volatili, che anche quelli potete assicurarveli aderendo a dei piani fatti apposta per voi, lavori a chiamata, contratti di un mese, nelle occasioni più spiritose contratti di un giorno, visibilità in busta paga, collaborazioni autonome con vaghe promesse, stipendi contati sul numero di anziani abbindolati, ritenute d’acconto che neanche un cavallo riterrebbe credibili, scelleratezze per monetizzare, una stucchevole tolleranza complice per le partite iva fittizie, volontariato non volontario, concorsi a premio al ministero, delivery agonistico e chi più ne ha più ne metta.
Immaginatevi un treno che corre e sbuffa sui suoi due binari, uno dritto e fisso e l’altro che si diverte sadico a zigzagare. Cosa potrebbe andare storto?
Della flessibilità, si dice che è un valore positivo.
Anche questo è un argomento troppo complesso e al di sopra della mia portata e anche questa patata bollente la lascio ad altri sventurati.
Nella visione d’insieme, che da profano non saprei padroneggiare, osservo una sfumatura, una nuova discriminazione sociale, che si aggiunge alle altre e che somiglia alle opzioni dei piani di abbonamento e fa una nuova fetta di esclusi. Tutti gli abbonamenti che ci servono per stare al passo, tutte le micro spese che insieme diventano grosse cifre da versare in una data precisa, lasceranno a digiuno le persone più precarie, quelle che ogni mese giocano la sfida di coprire almeno i bisogni primordiali, che potranno accedere solo agli strati più elementari del pacchetto, sotto il tavolo a raccogliere le briciole dei piani gratuiti, con sempre nuove limitazioni.
Questi potranno leggere metà di un libro e quattro notizie alla settimana sul giornale del posto, vedranno la prima parte di un film, salveranno copie con banner pubblicitari dei propri pensieri, viaggeranno dove il trasporto gratuito riesce a portarli o le offerte speciali preferiranno mandarli, leggeranno solo l’inizio di una notizia e si faranno idee poco chiare su quello che gli succede intorno, perché non potranno approfondire oltre la quarta riga che segue il frontespizio, guarderanno tutti lo stesso film, se Netflix o Amazon prime video avranno avuto la delicatezza di lanciarlo alla plebe dagli spalti dell’arena e, quando si troveranno a discorrerne tra loro, non potranno consigliarsi altro a vicenda.
Non sarà difficile, per chi eroga questa parte gratuita dei propri servizi, determinare gusti e conoscenze e passioni e orientamenti di chi non può permettersi di salire ai piani alti dell’offerta.
Certo, anche chi guadagna in modo discontinuo potrà raggranellare qualche cosa con cui soddisfare i suoi appetiti, ma una società che ha deciso di correre a più velocità e lasciarsi indietro un pezzo, che vinca o perda la corsa, non meriterebbe corone d’alloro al traguardo.
Ricordo di aver conosciuto un clochard che andava in giro con uno zaino pieno di libri e quadernetti scritti fitti. A questa persona non era rimasto quasi niente delle propria vita precedente, ma in quella manciata di libri che teneva sempre vicini al suo corpo, poteva viaggiare dal capo alla coda e nessuno stava a limitargli i versi confusionari, scarabocchiati a biro su quadernetti macchiati, che in una lunga notte mi ha lasciato leggere.
Era una vita rarefatta, come aria di montagna, e, nel suo piccolo, era premium.

2 risposte a "La serenità in abbonamento"

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